Trascrizione puntata con Franca Mancinelli
Benvenuti, sono Veronica Tinnirello e questo è Il Rubino, una trasmissione dedicata alla nuova poesia italiana.
Oggi parleremo di e con Franca Mancinelli, dei suoi due libri Mala kruna e Pasta madre e ascolteremo i brani scelti dalla nostra ospite: Misirlou, nella versione riarrangiata per il film Pulp Fiction di Quentin Tarantino e di Arvo Part, Für Alina.
Come già anticipato oggi incontriamo Franca Mancinelli, nata a Fano nel 1981.Pubblica due raccolte poetiche: Mala kruna con Manni Editori nel 2007 (premio opera prima “L’Aquila” e premio “Giuseppe Giusti”) e Pasta Madre, edito da Nino Aragno editore, 2013 (finalista del Premio Castello di Villalta e del Premio Metauro, Premio Alpi Apuane). Un’anticipazione di questo suo secondo libro è apparsa in Nuovi poeti italiani 6, Einaudi, nel 2012. Sue poesie sono inoltre presenti in varie riviste e antologie. Collabora come critica con Poesia, Crocetti editore.
Franca legge un testo da Mala Kruna:
vorrei con le parole aprirti
questa vita come una mano
che sul tavolo capovolta
aspetta d’essere riempita
stretta nella tua. Vorrei la lingua
a chiudere ogni foro, a intonaco
di questo intreccio di sterpi bruciati.
Saremo due camicie
appese l’una dentro l’altra
per una stagione intera
dove la penombra ha immerso
l’amo negli inverni
Veronica: Ciao Franca benvenuta.
Franca: Ciao.
Veronica: Volevo riportare un tuo commento: Può essere che la poesia sia una sorta di ragnatela tesa o trappola mimetizzata nel terreno, mentre il cacciatore nascosto, attende. C’è anche un modo di fare poesia che invece aggredisce direttamente la realtà andandogli incontro, il mio forse ( è probabile ) non è di questi. Intitoli il tuo primo libro Mala Kruna, in croato, Piccola corona di spine. Come è arrivato a te? Come suggerisce la poesia che apre la raccolta? Come un’annunciazione in una lingua misteriosa?
Franca: Sì, è stato proprio così. Infatti credo che la mia scrittura nasca da un’attesa, da un ascolto, soprattutto della voce dell’altro. Questo libro è nato proprio da un viaggio che avevo fatto in Croazia in barca a vela. Durante un giorno di cattivo tempo mentre non potevamo più andare in barca e quindi ci eravamo fermati, camminando in un’isola una vecchina del posto mi è venuta incontro e mi ha detto questa frase di cui io non sapevo il significato però il modo in cui si è avvicinata a me è stato un modo che mi ha forlgorato. Poi dopo lei si è come avvicinata a un muro dove c’era l’annuncio di una festa religiosa, di una processione e mi ha come portata verso questo luogo. Il giorno dopo andando in un mercantino ho scoperto il significato di questa parola che mi aveva detto: mala significava piccola e kruna, corona, anche corona di spine. E quando ho saputo questo, questo incontro è diventato ancora più importante in qualche modo, decisivo. E l’ho portato in me fino a che non sono riuscita in qualche modo a trascriverlo in quella che è diventata la poesia di apertura al mio primo libro e poi è diventato anche il titolo proprio del mio primo libro: Mala Kruna.
Franca legge un testo da Mala Kruna:
all’orizzonte un mare diverso
fermava il sangue sotto le unghie;
madre nera nell’isola
ti venne a fianco e ti disse del vento,
un cattivo tempo che non faceva
partire le barche;
poi fissò un punto sul muro
lungo la strada iniziava una festa
mala kruna, disse
piccola corona di spine.
Veronica: L’architettura di Mala Kruna e la citazione in esergo tratta dal XXVI canto dell’Inferno, quello di Ulisse, lasciano intravedere un motivo importante: il tentativo di andare, emanciparsi, crescere per arrivare poi a scoprire l’amore e la sua perdita. Eppure in questo tuo primo lavoro, tale distacco non sembra avverarsi del tutto. E’ così?
Franca: Sì…L’esergo che ho scelto per Mala kruna è tratto da un canto dell’Inferno che amo tantissimo e che ho imparato a memoria da quando facevo le scuole superiori quindi dalla prima volta in cui ho incontrato questo canto ed è questo, il canto di Ulisse, quello che dice: Né dolcezza di figlio, né la pieta / del vecchio padre, né’l debito amore. Io ho isolato questi due versi e mentre in Dante questi due versi continuano e sono come l’inizio di un viaggio, di qualcosa che non impedisce la partenza… invece lasciandoli così in questa negatività che si ripete, isolandoli, mi sono accorta che erano in qualche modo la descrizione di un trauma, di una negazione ripetuta e mi sono accorta che dicevano qualcosa che forse volevo dire e che nel libro era in qualche modo sottotraccia ma non era mai affermato compiutamente come in questi due versi. Eh…sì, Mala Kruna è un tentativo di allontanarsi da una ferita e anche di crescere perché è un viaggio che parte dall’infanzia e dall’infanzia attraversa l’adolescenza e poi arriva a questa età senza nome, senza definizioni di cui parlo nell’ultima sezione che si intitola Un rudere la casa. E quindi non c’è un compimento, non c’è una casa perché anche la fine di questo viaggio è una casa che è un rudere, distrutta o ancora da ricostruire. Sì, io sento spesso di compiere dei passi però poi di essere comunque legata come in una sorta di prigionia che in realtà mi porta indietro. In più poesie parlo di un passo che compio e anche in questa dove questo passo che faccio nell’aria diventa un’unione di cose separate, di nascite e di non nascite… e questo arco che la ragazza disegna, che è un’apertura alla vita ma che può essere anche una sorta di aprirsi e quindi di distruggersi.
Franca legge un testo tratto da Mala kruna
e la ragazza arco
appoggia un piede in aria e congiunge
costellazioni di non generati
al grido che ha rotto ora le acque,
appesa la pelle a un ramo cattura
il vento, è una busta della spesa
di desideri altrui
svaniti in uno sguardo
nel treno del mio sangue
salite
Veronica: Questa è Misirlou, un pezzo tratto dalla colonna sonora di Pulp Fiction di Quentin Tarantino. Misirlou che appartiene alla tradizione folkloristica greca. Come mai questa scelta?
Franca: Perché è un testo legato alla mia adolescenza ed ho dei ricordi molto belli legati a questa musica con la mia migliore amica mentre ballavamo nel bar dove ci ritrovavamo sempre con i nostri amici. In questo pezzo riconosco questa sorta di carica, di apertura appunto che c’è verso quello che non si conosce…insomma una sorta di festa che si prepara ed è la festa un pò anche di cui parlo nel primo testo del libro: all’orizzonte iniziava una festa.
Franca legge un testo da Pasta madre
Un colpo di fucile
e torni a respirare. Muso a terra,
senza sangue sparso.
Cose guardate con la coda
di un occhio che frana
mentre l’altro è già sommerso, e tutto
si allontana. Gli alberi
si piegano su un fianco
perdono la voce in ogni foglia
che impara dagli uccelli
e per pochi istanti vola.
Veronica: Pasta Madre è la tua recente raccolta. Qui lo sguardo si fa organo cavo, sempre più capace di accogliere gli indizi di ciò che fuori si compie. Scrivi: quello che sono è una finestra/ il peso che avevo l’ha raccolto/ in sacchi scuri l’alba. Milo De Angelis, nella sua nota afferma che Tutto il libro è un sottrarre e un levigare, uno sforzo di purificarsi, di giungere a una nudità che è conoscenza. E’ anche uno sguardo infatti che viene e torna alla terra…
Franca: Sì, la terra è sicuramente un luogo legato alla morte e alla rinascita, all’essere seppelliti ma anche ai semi…un luogo legato alla metamorfosi anche al cambiamento. In questo libro spesso ci sono passaggi di forme tra umano e vegetale tra umano e animale e viceversa. Sicuramente ho cercato in qualche modo questa nudità di cui parla Milo De Angelis, un po’ come cercando di spogliarmi dai pesi ma anche dalle scorie che ci portiamo addosso per il dolore, i segni che ci lascia la vita, ma anche le cose che non ci appartengono, che ci lasciano gli altri, che non abbiamo scelto, per arrivare a una forma nuda, appunto, semplice, riconoscersi, ritrovarsi in questa forma e riaprirsi in qualche modo a cogliere la vita, a cogliere il passaggio delle cose proprio come anche nella poesia che apre il libro che è appunto questa immagine della scrittura come cucchiaio.
Franca legge un testo da Pasta madre
cucchiaio nel sonno, il corpo
raccoglie la notte. Si alzano sciami
sepolti nel petto, stendono
ali. Quanti animali migrano in noi
passandoci il cuore, sostando
nella piega dell’anca, tra i rami
delle costole, quanti
vorrebbero non essere noi,
non restare impigliati tra i nostri
contorni di umani.
Veronica: Altro motivo di ispirazione sono gli animali. Sciami di insetti, formiche,uccelli. Sono loro a consegnarci gli indizi, ad insegnare ai nostri “contorni di umani” il volo, l’ampiezza, il ritmo, l’eredità della specie, loro che talvolta ci rimarginano.
Franca: Sì, gli animali sono molto frequenti. Ci sono insetti, ci sono cani, c’è un muso, appunto ci sono questi passaggi tra uomo e animale, ci sono formiche spesso. Gli animali credo che siano come prima un segno di resistenza della vita perché loro contengono questa sorta forza biologica che va avanti comunque. Loro che cercano continuamente cibo, che sono più attaccati in qualche modo a una forza vitale; mentre questo libro era partito in qualche modo da una crisi, da un non riconscersi più nei gesti semplici anche quotidiani della nostra vita che sono quelli di mangiare, di dormire, di compiere questi rituali che ci portano avanti, in qualche modo che ci salvano e però anche ci chiudono un po’. E quindi riguardare gli animali, ritrovarli era come avere una bussola, in qualche modo, riorizzontarsi un po’ nella vita. Però poi ripensandoci mi sono accorta che questi animali in realtà portano anche un principio distruttivo. Per esempio le formiche rosse velenose di cui parlo in un testo che discendono e salgono nel corpo sono anche qualcosa di incontrollabile, di irrazionale che ci attraversa. E poi sono gli stessi animali che ci abiteranno quando il nostro corpo non sarà più in vita e che sarà un luogo di animali che continuano a vivere.
Veronica: Vorrei citare ancora Milo De Angelis che nella sua nota disegna con precisione la vena oracolare dei tuoi versi: La protagonista di Pasta madre non ha età. E’ bambina, vecchia, morta, fanciulla in fiore, sibilla, veggente, sposa, figlia, vedova, smarrita: si radunano in lei tutte le epoche e stagioni. E’ come se l’intimità con le ombre le avesse conferito un tempo assoluto.
Franca: Sicuramente ci sono molti fantasmi che mi hanno abitato, che mi abitano ancora e mi attraversano e ci sono nella realtà che racconto in qualche modo, in questo libro, come dei momenti di incubo anche, di percezione distorta tra la realtà e l’irrealtà. C’è per esempio una presenza anche amorosa e poi la sua assenza che apre appunto degli squarci di incubo, di dolore intollerabile, di una ferita che non si rimargina. E poi, sì è vero quello che dice Milo di questo mio non essere riconoscibile in un’identità precisa perché anche quando prendo la prima parola e dico io spesso in realtà questo io proviene dall’ascolto anche della storia di un altro, della voce di un altro. Per esempio la poesia che inizia “Ho lavorato con la morte nel cuore per un mese” in quel caso lì ho proprio riportato le virgolette perché sono due versi che mi ha donato insomma un’altra persona, che vengono dall’ascolto della storia di un altro. E quindi sì c’è anche questa confusione, questi confini, contorni umani labilissimi tra me e le cose, tra me e gli altri e sicuramente per questo posso essere vecchia e bambina, insomma queste diverse figure di cui parla Milo.
Veronica: Il brano che abbiamo ascoltato era Für Alina di Arvo Part. Volevo riportare un breve estratto di intervista rilasciato dallo stesso Part che dice: “Ho scoperto che è sufficiente una singola nota, suonata con grazia. Questa nota sola, o battito silenzioso, o momento di silenzio, mi conforta.” Tu della poesia hai parlato di ascolto. Si percepiscono in questo ultimo libro riferimenti al silenzio che precede la parola, al suo farsi lentamente linguaggio poetico. E qui ritorniamo alla domanda iniziale, a quanto già detto. Volevo allora entrare nel dettaglio. Che cos’è per te scrivere in versi? Ma soprattutto che cos’è l’attesa del suo compiersi?
Franca: Sì, un po’ come in questa immagine di pasta madre che intitola il libro. Ho questo sentire la scrittura e la poesia come una materia incompiuta, in qualche modo, anche anonima…la lingua che ci portiamo dentro, che viene da prima di noi, che viene da lontano, che è la lingua della tradizione, la lingua degli uomini che hanno sempre avuto…e questa forma che alla fine la danno gli altri, gli altri con il loro ascolto, con la forma, il senso che loro riconoscono da una stessa materia. So che le mie poesie a volte sono molto dense, a volte potrebbero sembrare oscure ed è proprio in questa densità che io cerco di concentrare diverse possibilità di vita, diverse forme proprio come la pasta madre che dona e rigenera, si rigenera in altre forme nelle mani degli altri. Un’altra immagine che sento molto vicina alla scrittura è questa sorta di agonia, una lotta. Perché come già in Mala kruna sento ancora che le parole si scontrano sempre con una barriera, con un limite che noi cerchiamo ogni volta di superare però questo limite c’è. L’immagine di cui parlo anche in un testo di questo libro, quella degli insetti che sbattono contro un vetro, vanno verso la luce, cercano un’altra dimensione, una sorta di libertà e invece trovano questo limite e continuano a sbattere contro il vetro finché non si accasciano inebetiti da quest’urto. Per il verso è questo tentativo di andare verso una liberazione, una luce, una dimensione diversa che starebbe fuori non so bene dove. E poi c’è anche questa idea centrale del cucchiaio, del raccogliere quelle che c’è, raccogliere il buio con le sue forme. Anche la poesia che conclude il libro per esempio è legata a questa idea dello scrivere con tutto il corpo. Mi ricordo che mentre scrivevo questo libro era presente in me molto questo pensiero che si scrive magari in cinque minuti anche se poi dopo ci si rilavora mesi e a volte anche ci si ritorna dopo anni, però è tutta la giornata con il suo peso, con le sue fatiche che è in quel momento nella scrittura ed è tutto il corpo che sta scrivendo in quel momento e così era nella notte sopratutto quando parla in noi qualcosa che forse nel giorno tace.
Franca legge un testo tratto da Pasta madre
dormivo su una pagina ogni notte
bianca. Il mattino
un’ombra del mio peso, alcune pieghe
subito voltava: proseguire
è questo a capo del principio,
bocca che passa calore
all’aria come potesse svegliarsi
essere ancora salvata.
Veronica: E’ arrivato il momento di salutarci. Vi ricordo di Franca Mancinelli, Mala Kruna, edita da Manni e Pasta Madre, pubblicata da Nino Aragno editore. Per riascoltare la puntata e leggerne la trascrizione potete consultare il sito www.ilrubino.it e scrivere a info@ilrubino.it. Grazie a Franca.
Franca: Grazie a te e agli ascoltatori.
Veronica: Grazie a Simonluca Laitempergher per tutta l’assistenza tecnica e un grazie a voi per averci ascoltate.